Nell’era digitale, l’evoluzione dei dispositivi elettronici è continua, massiva, imperante: addirittura, molte aziende produttrici di smartphone e altri device sono state tacciate di andare contro la normativa europea per il fatto di rendere obsolete, in troppo poco tempo, le loro proposte commerciali; all’uscita della versione successiva, la differenza che si riscontra con quella precedente, in alcuni casi, è davvero abissale e tutto questo coincide con un collasso della economia, poiché si spende sempre di più ma diventa “conveniente” utilizzare gli stessi dispositivi per sempre meno tempo.
La sfida, per l’Italia, sarà cercare di conformarsi agli altri Paesi della UE, offrendo una percentuale di smaltimento per questi materiali decisamente maggiore di quella attuale, che risulta ancora del tutto insoddisfacente (nel 2016, solo il 20% dei 44,7 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici prodotti).
Ma andiamo con ordine, che si intende per rifiuti elettronici?
RAEE: cosa sono e come si smaltiscono
La sigla RAEE è l’acronimo di “Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche“.
I dispositivi in commercio che appartengono a questa categoria sono etichettati con il simbolo di un bidone barrato da una X: le categorie in cui sono classificati sono 5, ma vengono considerati rifiuti pericolosi e da smaltire con cautela, e presso i luoghi preposti, anche le batterie, come le pile o gli accumulatori. Tutti questi rifiuti che non possono essere smaltiti insieme all’indifferenziato vengono definiti “speciali”.
Ma qual è, allora, la destinazione di questa categoria di scarti?
C’è, innanzitutto, da analizzare al microscopio la questione.
Molti dispositivi vengono messi “in pensione” soltanto per passaggio ad un modello superiore, ma ancora perfettamente funzionanti: questo dato dovrebbe indurre a riflettere; non conduciamo la nostra esistenza in maniera troppo sconsideratamente consumistica? E inoltre, non varrebbe la pena trovare una nuova destinazione d’uso per questi device declassati, ma pur sempre utilizzabili?
In effetti, molti dispositivi Android, ad esempio, stanno trovando un nuovo posto in famiglia come altoparlanti intelligenti, sullo stile di Google Home ed Alexa, ma sfruttando semplicemente la IA equipaggiata; in altri casi, sussistono vere e proprie vendite ed aste dell’usato, dove a contendersi questi oggetti sono persone meno ossessionate dal “Top gamma” o con minore disponibilità economica.
Ancora, esiste anche un mercato dei pezzi di ricambio che fa la felicità di molti piccoli e grandi riparatori, nonché quella degli ex proprietari che, spesso, si ritrovano a recuperare qualche euro anche rivendendo prodotti non più funzionanti o, addirittura, rotti esternamente. D’altro canto, anche il rientro nella filiera della produzione (al contrario) prevede, più o meno, lo stesso iter.
I device, infatti, per essere correttamente smaltiti, se alla reale fine della loro (anche potenziale) vita, vanno portati ai regolari Centro di Raccolta (consultabili sul sito del Centro di Coordinamento RAEE) che provvederanno a bonificarli da eventuali sostanze tossiche presenti al loro interno per poi infilarli in una vera e propria catena di smontaggio, per ritornare ai pezzi, anche minuscoli, che hanno dato vita a quell’oggetto complesso. Un disassemblaggio in grado di fornire materie prime che potranno essere sfruttate per nuovi prodotti, evitando che vengano investiti altri soldi per procurarne di nuove.
Insomma, riciclare e smaltire correttamente, a livello globale, conviene proprio a tutti.